“Non esistono ragioni” intervista a Vanni Pettinà sulla guerra in Ucraina

Sgomenti e inermi di fronte all’invasione dell’Ucraina abbiamo fatto alcune domande a Vanni Pettinà, esperto di guerra fredda, fiorentino ma da anni professore associato presso il Centro de Estudios Históricos del Colegio de México, università di riferimento in Messico per le scienze sociali.

Ecolo’: Ciao Vanni, grazie per la disponibilità a rispondere a queste domande. Sei uno storico delle relazioni internazionali, quindi partiamo da come siamo arrivati qui.  Quali sono le radici storiche, politiche ed economiche delle tensioni tra Russia e Ucraina?

Vanni Pettinà: Dunque, io inizierei in modo diverso, dicendo che non esistono ragioni che, in termini di conflitto storico, possano offrire un nesso causale diretto per comprendere l’invasione russa dell’Ucraina. Ci sono ovviamente numerosi errori commessi da Washington, dall’Unione Europea e dalla NATO dopo il collasso dell’URSS, nel dicembre del 91. Potrei citare, per esempio, la shock therapy elaborata dall’economista statunitense Jeffrey Sachs per “aiutare” la Russia a integrarsi nell’economia di mercato, che produsse un impoverimento drammatico del paese con conseguenze sociali devastanti per i cittadini dell’ex URSS. Però, detto questo, non esiste un conflitto “storico” tale da rappresentare un nesso di causalità diretto con l’invasione. L’invasione avviene perché Putin ha deciso che un’Ucraina sovrana e indipendente non è tollerabile nei suoi calcoli strategici, razionali o meno che essi ci appaiano, ed è convinto di avere la forza militare necessaria per piegare il paese. C’è quindi una correlazione ma non una causalità diretta tra gli errori commessi da Europa, Stati Uniti e NATO e l’invasione dell’Ucraina.

Esistono piuttosto narrazioni prodotte dallo stesso Putin che si nutrono di una pseudo-storia, e che vengono usate dalla Russia per giustificare l’invasione. Come storico, sento la necessità di sottolineare che si tratta, appunto, di costruzioni inattendibili. Un esempio: l’annosa questione dell’espansione della NATO che viene indicata da Putin come uno dei motivi per dar avvio all’invasione. Anche se con un po’ di leggerezza l’Alleanza ha messo in effetti in agenda la sua ammissione nel 2008, ma l’Ucraina non appartiene all’alleanza e la sua entrata – come nel caso della Georgia, proprio per evitare un conflitto con la Russia – non era né prossima, né all’ordine del giorno. Inoltre, credo che sia necessario sottolineare che sono stati i paesi dell’ex Patto di Varsavia o della stessa URSS che, dopo l’implosione sovietica, hanno chiesto di entrare nella NATO e nell’EU, in parte anche come conseguenza dei traumi prodotti dalla loro collocazione sotto l’ombrello sovietico durante la Guerra Fredda. La lista potrebbe proseguire e potrebbe includere il fatto che non esiste una violazione storica e sistematica dei diritti della popolazione russoparlante dell’Ucraina. Come dimostra proprio la resistenza in massa contro l’invasione e che ha coinvolto anche cittadini di lingua russa, l’appartenenza culturale non coincide necessariamente con quella nazionale, come vorrebbe la narrazione caldeggiata da Putin. La storiografia più aggiornata che si occupa di storia della Russia ha da tempo sottolineato la necessità di diversificare proprio tra russkij e rossijskij, per definire l’aggettivo russo. Russo-russkij indica l’appartenenza culturale russa, mentre russo-rossijskij indica l’appartenenza allo stato-nazione russo. Si può dunque essere al medesimo tempo russo-russkij e cittadino di un altro stato – in questo caso dello stato-nazione ucraino. Non esiste la contradizione cui si appiglia Putin, che vorrebbe invece cancellare questa importante distinzione facendo coincidere appartenenza culturale con quella nazionale allo stato Russo. Questa coincidenza è un’invenzione, e come tale va criticata.

Ecolo’: Qual è la ragione fondamentale della scelta russa di invadere l’Ucraina?

Vanni Pettinà: Se assumiamo come verosimile il ragionamento di cui sopra, dobbiamo cercare proprio nella volontà di espansione di Putin la causa principale dell’invasione dell’Ucraina. Ora, cosa ci sia dietro questa agenda espansionista è difficile da dire e ci muoviamo nel regno delle ipotesi. La più plausibile, considerando la cultura politica d’appartenenza di Putin (legata ai settori più conservatori dell’ex URSS e al KGB, di cui era agente), è che ritenga che la Russia debba recuperare la posizione geopolitica mantenuta dall’URSS durante la Guerra Fredda. Ucraina ed Europa dell’Est, ma anche le tradizionali zone di influenza sovietiche in Medioriente, come la Siria, sembrerebbero rappresentare una specie di spazio vitale russo che deve essere riacquisito, senza escludere ovviamente il ricorso alla guerra. Anche perché la mancanza di un appeal russo politico-culturale, che invece aveva l’URSS, e dunque di un soft-power effettivo, rende per Mosca la guerra quasi uno strumento inevitabile per riappropriarsi di questo spazio vitale. Ovviamente, la debolezza politica degli Stati Uniti, dopo quasi due decenni di interventi dissennati in Medioriente, e quella della NATO, indebolita dallo stesso Trump durante la sua presidenza, hanno probabilmente convinto Putin che ci fossero le condizioni per un intervento senza reazioni rilevanti da parte di Stati Uniti, Europa e NATO. Ci potrebbe anche essere un calcolo che mira ad alimentare quel nazionalismo irredentista russo, stimolato dagli errori commessi dai Paesi dell’alleanza atlantica dopo il ‘91, che Putin ha cavalcato fin dal suo arrivo al potere e sul quale ha basato le sue fortune politiche.

Ecolo’: Quanto potrebbe durare questa guerra?

Vanni Pettinà: Questo dipende da due variabili fondamentali, credo. La prima è ovviamente la capacità di resistenza delle forze armate ucraine, fattore che a sua volta dipende anche dalla volontà e capacità dell’Europa e degli Stati Uniti di appoggiarle con aiuti militari ed economici. La seconda dipende invece dalla volontà Russa di impiegare livelli di violenza militare crescenti, proprio per stroncare la resistenza ucraina. Ad ogni modo, finita la fase più classica della guerra, quella attuale in cui si stanno fronteggiando due eserciti, mi pare plausibile prevedere la sua prosecuzione su un terreno di conflitto non convenzionale, in cui gli ucraini cercheranno di logorare con la guerriglia le forze armate russe.

Ecolo’: Come potrebbe finire?

Vanni Pettinà: È ovviamente difficile dirlo. Se però consideriamo sia la determinazione Russa nel proseguire il conflitto sia quella ucraina nel resistere, probabilmente lo scenario più plausibile potrebbe essere quello di una partizione del territorio ucraino in due, l’Est in mano alla Russia e l’Ovest sotto il controllo ucraino, probabilmente con Leopoli come nuova capitale.

Ecolo’: Qualcuno ha paventato la possibilità che Putin sia deposto dal suo stesso entourage. È una fantasia occidentale priva di fondamento?

Vanni Pettinà: È una possibilità. Le sanzioni potrebbero indebolire il patto tra oligarchi e Putin e muovere i primi a cercare una soluzione alternativa che permetta loro di non perdere la ricchezza accumulata e la cui salvaguardia, mi pare, sia ormai resa quasi impossibile dalle sanzioni economiche europee e statunitensi che hanno colpito duramente molti dei patrimoni degli oligarchi russi. La difficoltà, in questo caso, è che si tratta di una relaziona asimmetrica in cui sono più gli oligarchi a essere dipendenti dalle concessioni di Putin, non viceversa. Altra possibilità è che la guerra e i suoi costi vengano percepiti come eccessivi dalle stesse forze armate e dagli attori politici che sostengono Putin. Ci sono dei precedenti. Nel 64 Chruščëv venne spodestato dal potere attraverso un putsch di palazzo, proprio perché la sua politica estera, che aveva condotto alla Crisi dei Missili di Cuba nell’ottobre del 62, era stata ritenuta eccessivamente rischiosa e politicamente costosa per l’URSS. Morti e costi economici potrebbero innescare un processo simile, anche se al momento Putin pare essere saldamente al potere, sostenuto anche da una opinione pubblica irretita dalla propaganda e quindi non molto critica verso la guerra in Ucraina. 

Ecolo’: Condividi la scelta di fornire armi alla resistenza Ucraina da parte dell’Italia?

Vanni Pettinà: Sì, perché temo che la possibilità di arrivare a un negoziato dipenda proprio dalla capacità di resistenza delle forze armate ucraine. Putin ha come obiettivo la conquista del Paese intero, solo se il costo di questa operazione dovesse divenire troppo alto potrebbe scegliere di negoziare una partizione. E il costo per la Russia dipende direttamente dalle sanzioni ma anche soprattutto dalla capacità di resistenza militare ucraina.

Ecolo’: Come si concilia la fornitura di armi a una delle due parti in guerra con il proseguimento dell’acquisto di gas dalle compagnie russe?

Vanni Pettinà: Male. Si tratta ovviamente del solito problema di mancanza di una visione strategica europea. È da tempo che, non solo il problema dell’Ucraina, ma, più in generale, quello di una Russia più assertiva o di un mondo geopoliticamente meno stabile, a causa dell’erosione dell’egemonia statunitense, sono processi evidenti. La dipendenza energetica europea, e soprattutto tedesca, dalla Russia è solamente un esempio dell’impreparazione europea di fronte alle sfide che il nuovo contesto lancia. Ma è, appunto, solamente una. La mancanza di un debito comune europeo o di un sistema di difesa continentale mi paiono altri elementi che, se la guerra dovesse estendersi, rivelerebbero altri punti altamente critici dell’impreparazione europea.

Ecolo’: Come immagini che cambieranno gli equilibri geopolitici dopo la fine di questo conflitto?

Vanni Pettinà: Paradossalmente, potrebbe cambiare a favore dell’Europa e degli Stati Uniti. La Russia uscirà molto indebolita, economicamente e geopoliticamente da questo conflitto. Le sanzioni prostreranno l’economia russa e l’immagine del paese ne esce devastata. L’invasione, invece, sta rafforzando la presenza della NATO che, in teoria, l’invasione voleva giustamente limitare. Anche l’Unione Europea sembra essersi di colpo svegliata. Finalmente si parla di una politica di difesa comune e di una politica energetica che la liberi dalla dipendenza dalla Russia. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno ridotto grazie alla guerra i danni causati dalla presidenza Trump ma anche dai clamorosi errori commessi durante i decenni di arroganza unilaterale. Le ferite non sono ovviamente rimarginate, ma gli errori russi mi pare che aiutino Biden a tappare, almeno in parte, quelli statunitensi.  Dal punto di vista sia russo che degli equilibri europei mi pare che il cambiamento più significativo sia la decisione tedesca di tornare a investire sulla propria forza militare. Va ricordato che l’intera architettura del sistema di sicurezza costruito dalla Russia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale verteva proprio sul perno di una Germania demilitarizzata. Con questa invasione Putin è riuscito a rendere vana la morte di 26 milioni di russi durante la Seconda guerra mondiale, un numero che aveva in qualche modo legittimato le richieste sovietiche di disarmo tedesco.

Anche la Cina non mi pare esca bene dal conflitto, almeno dal punto di vista della sua immagine internazionale. Appoggiare l’invasione di un paese sovrano, anche se nella forma ambigua in cui lo sta facendo, non credo rassicuri i paesi con cui la Cina vuole commerciare e verso cui ambisce ad espandere la sua influenza politica e culturale. L’egemonia si basa anche e soprattutto sul consenso e questa invasione mi pare stia mostrando chi è in grado di generarlo e chi no. 

Ecolo’: Qual è stato il ruolo della Cina e come potrebbe cambiare la sua strategia di lungo termine?

Vanni Pettinà: Come dicevo sopra, la Cina poco prima dell’invasione russa ha firmato con Mosca un patto di cooperazione. È evidente che i due paesi condividono un’agenda che mira a rivedere gli equilibri politico-economici su cui si basa l’ordine internazionale attuale. Il punto è che la Cina ha fatto del commercio e dell’integrazione economica due pilastri chiave della sua strategia di espansione globale. La guerra in Ucraina turba il normale operare dell’economia internazionale e quindi va contro la strategia cinese di usare le dinamiche economiche a suo favore. Ma l’appoggio all’invasione danneggia anche l’immagine di attore pacifico che la Cina ha cercato di costruire in questi anni per rassicurare gli interlocutori con cui commercia e intesse relazioni politico-economiche. La Cina è, rispetto alla Russia, un attore molto più integrato nell’economia globale e, dunque, ogni turbamento dell’ordine economico internazionale ha o può avere nel paese asiatico ripercussioni molto problematiche. 

Ecolo’: I media occidentali hanno sottolineato che 135 stati hanno votato a favore della risoluzione di condanna alle Nazioni Unite.  Tra i 35 paesi astenuti ci sono Cina, India e Pakistan (3 miliardi di persone). Puoi spiegarci perché India e Pakistan hanno votato assieme alla Cina?

Vanni Pettinà: Direi che sono posizioni dettate da convergenze geopolitiche e dal fatto che vi sono interessi economico-politici importanti. L’India, per esempio, mantiene una relazione di vicinanza politico economica con l’URSS fin dai tempi dell’indipendenza e, inoltre, in tempi recenti ha sviluppato importanti relazioni commerciali soprattutto nel settore degli armamenti.

Grazie del tuo tempo!

La foto di copertina è di Sergey Kozlov/EPA-EFE

geopolitica

Data di pubblicazione: 7 Marzo 2022

Autore: Redazione

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